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74:33: Washer #1 – Elliott Smith playlist

28 ottobre 2011

Come annunciato… da ottobre la mia rubrichetta “Washer” avrà cadenza mensile sul magnifico blog di playlist 74:33.

Dopo il #0 di Washer – pubblicato a luglio basato sulla “scena” italiana tutta cuore, urla, passione e nostalgia (emo? l’avete detto voi) -, ecco arrivare una playlist interamente dedicata al mai troppo amato Elliott Smith, intitolata “The Morning After“… non una celebrazione della sua morte (21 ottobre 2003), ma un omaggio alla “mattina dopo”. Lo capirete leggendo. Sì, il testo è un po’ lungo… ma le parole non bastano mai quando in sottofondo quella voce delicata strazia il cuore prima di tutto.

Washer #1 la trovate qui su 74:33 ma dopo qualche giorno dalla sua pubblicazione (22 ottobre 2008, la mattina dopo, eh) il testo lo posto anche qua.

Buon ascolto, buona lettura

Cliccare sull’immagine per ascoltare la playlist

Elliott Smith Oscar's performance

1 – Elliott Smith – Say Yes
2 – Elliott Smith – Miss Misery (Oscar’s performance)
3 – Elliott Smith – Angeles (Paranoia Park)
4 – Heatmiser – Half Right
5 – Elliott Smith – Between The Bars (Good Will Hunting)
6 – Elliott Smith – Ballad Of Big Nothing
7 – Elliott Smith – Needle In The Hay (Tenenbaums)
8 – Elliott Smith – Pretty (Ugly Before)
9 – Elliott Smith – No Name #3
10 – Elliott Smith – Everything Means Nothing To Me
11 – Elliott Smith – The White Lady Loves You More (Paranoia Park)
12 – Elliott Smith – Bled White Star Edizioni
13 – Elliott Smith – Thirteen (Big Star cover)
14 – Elliott Smith – Fond Farewell
15 – Elliott Smith – Coming Up Roses
16 – Elliott Smith – Believe (Beatles cover – American Beauty)
17 – Elliott Smith – Division Day
18 – Elliott Smith – The Biggest Lie
19 – Elliott Smith – Trouble (Cat Stevens cover, Thumbsucker)
20 – Elliott Smith – Everything Reminds Me Of Her
21 – Elliott Smith – Angeles (Good Will Hunting)
22 – Elliott Smith – New Monkey
23 – Elliott Smith – Miss Misery (Good Will Hunting)
24 – The Decemberists – Clementine (cover)
25 – Chris Garneau – Between The Bars (cover)

THE MORNING AFTER – Un omaggio a Elliott Smith
Elliott Smith
sconvolse la mia poco più che ventenne e distratta esistenza nell’estate del 1998. In un cinema all’aperto. Seduto nell’ultima fila in una notte calda, stonata e innamorata. Mi arrivò dritto al cuore.
Sul grande schermo passavano “Will Hunting – Genio ribelle“, il primo lungometraggio hollywoodiano di uno dei miei registi preferiti di sempre, Gus Van Sant. Forse proprio quell’alone mainstream e da star-system che percepivo intorno alla pellicola fece sì che la snobassi, sentendomi in qualche modo tradito, non so… fatto sta che la vidi con mesi e mesi di ritardo dalla sua uscita. Anche la notizia che un brano – scritto e cantato da un semisconosciuto cantautore indipendente – estratto dalla colonna sonora avesse lottato fino alla fine per il titolo di “Miglior Canzone” agli Oscar per poi lasciar vincere “My Heart Will Go On” interpretata da Celine Dion per “Titanic” non aiutò certo ad avvicinarmi al film. Errori di gioventù, forse.
Non avevo ancora capito una cosa fondamentale degli Anni 90 (e sì che invece l’esempio Kurt Cobain avrebbe dovuto farmi drizzare le antenne): la fama distorta e luminescente, malata e arrapante, dolorosa, perversa e vuota ma accecante e lusinghiera che per qualche arcano motivo conduceva, a loro insaputa o almeno con una consapevolezza poco lucida, alla deriva artisti per natura distanti anni luce da quel mondo fatto di riflettori e fondotinta. Che poi magari – questo non ci è dato sapere – il loro destino sarebbe stato comunque funesto e tragico. Però guardatelo Elliott Smith nella sua performance di “Miss Misery” durante la serata degli Oscar, di bianco vestito con ai piedi scarpe Prada: fuori contesto, impacciato, intimidito, pronto ad essere fagocitato da quella macchina infernale, incline già come era a una innata inadeguatezza verso il mondo che mitigava con droghe, alcol e antidepressivi.
Comunque sia quella calda sera del 1998 tutto ciò non mi interessava, anche perché non ne ero semplicemente a conoscenza, per fortuna. So solo però che “Angeles“, “Between The Bars“, “No Name #3” e “Say Yes” sconquassarono immediatamente ogni mia difesa entrandomi sottopelle. Soprattutto “Say Ye”s (estratta dal suo terzo album “Either/Or” del 1997) con quel suo incedere cantilenante come fosse una sorta di filastrocca sentimentale che nel primo e ultimo verso si apre all’amore e al mondo: “I’m in love with the world through the eyes of a girl / Who’s still around the morning after”. Unico brano nella sua intera discografia a manifestarsi chiaramente ottimistico e positivo. Qui non canta di addii, droghe, alcol, sofferenze esistenziali e pessimismi vari che caratterizzano la maggior parte delle sue canzoni e quindi la sua cifra stilistica. No, qui confessa l’amore per una ragazza, non nascondendone i problemi contingenti, ma rivelando chiaramente la speranza che tutto possa rimettersi a posto “la mattina dopo” facendo decidere a lei. “Lei”, che questa volta, per stessa ammissione dell’autore, non sembra riferirsi alla droga, la bianca “eroina”, ma a una persona in particolare.
Sicuramente a suggestionarmi contribuirono pure le immagini in movimento del regista di Portland (stessa città nella quale Steven Paul Smith – il suo vero nome – approdò quattordicenne nel 1983 e dove sbocciò artisticamente prima negli Heatmiser e poi come solista). Non c’è dubbio. Anche perché le sue canzoni con il cinema hanno sempre avuto un legame speciale, quasi come fossero fatte appositamente per essere inserite per tutta la loro durata in sequenze di film create ad hoc. Ancora Gus Van Sant pesca dal suo repertorio discografico per musicare “Paranoid Park” (sempre la struggente “Angeles” e la dolorosa e “drogata” “The White Lady loves You More“); ma prima c’era stata la bellissima versione di “Because” dei Beatles (suo amore mai celato) che Elliott Smith crea per raccontare il momento del trapasso del protagonista Kevin Spacey in “American Beauty“; poi sempre una cover, stavolta di “Trouble” di Cat Stevens fatta per il film indipendente “Thumbsucker“; ma la più riuscita è soprattutto la scena del tentato suicidio nei “Tenenbaums” che sembra sia stata girata da Wes Anderson proprio per cucirci perfettamente addosso l’indimenticabile “Needle In The Hay“. 
Ma cinema a parte, la produzione discografica di questo immenso cantautore è stata quanto mai incisiva e fondamentale per la musica indipendente e non solo proprio da metà Anni 90 fino ad oggi. La sua forza è stata proprio quella di coniugare folk e pop in maniera del tutto personale, con una sensibilità e una espressività artistiche uniche. Non solo quel modo intimo e struggente di cantare, che ha contagiato miriadi di artisti a venire (numerose sono le sue canzoni coverizzate, qui riportiamo quelle di Decemberists e Chris Garneau, tanto per citarne due), ma anche quella sua infinità capacità compositiva che ha fatto sì si rinnovasse continuamente la sua proposta musicale. Se i primi album erano quanto più di scarno si potesse immaginare – soprattutto da lì arrivano i brani più immediati e strappalacrime – è con gli album successivi alla popolarità mediatica post-Oscar che il suono si fa più complesso quasi barocco senza perdere però una stilla in immediatezza e capacità di rapire l’ascolto. Un incrocio perfetto tra il Nick Drake di “Pink Moon” e i Beatles. Un totale di sei album imprescindibili. Da mandare a memoria. Più raccolte postume varie.
Poi si sa, come lui stesso cantava in “Say Yes”, le cose molto spesso vanno male… la depressione, le droghe, l’alcol, le delusioni amorose (eh sì, Elliott Smith era sincero quando cantava). Così quando venni a sapere che il 21 ottobre 2003 il suo corpo fu trovato senza vita lacerato letalmente da due pugnalate al cuore – che si tratti di suicidio (l’ipotesi più accreditata, ma il caso giuridico sulla sua morte è ancora aperto) o meno qua poco interessa – con la mente tornai subito alla “mattina dopo” quella sera estiva del 1998 (quella dopo il cinema, sì), al desiderio con il quale mi svegliai di accaparrarmi tutti gli album di questo cantautore che aveva, metaforicamente stavolta, trapassato il mio cuore da parte a parte con melodie strazianti ma allo stesso tempo consolatorie, salvifiche. Perché sì, contavano solo le canzoni. E le canzoni sono le sole che contano anche oggi. Oggi, 22 ottobre: “la mattina dopo”. E forse aveva proprio ragione lui, quando sussurrava “invece di cadere giù, sono ancora in piedi la mattina dopo”. Non lo sentite “dire sì”? No? Provate ad ascoltare di nuovo da capo la playlist.
Non mi piacciono i memoriali legati agli anniversari delle morti. Questo è il mio omaggio ad Elliott Smith della “mattina dopo”, di tutte le mattine dopo. Sia chiaro. Buon ascolto.